Vite parallele: Cesare e il cugino di Simplicio

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L’epoca che scalda i cuori degli uomini probi, non è banalmente un fluire di tempo cadenzato da convenute unità cronometriche, o a dir peggio una evenemeziale addizione di fatti rilevanti che ne hanno segmentato la geometria: l’epoca è la madre sovrana che svezza gli spiriti, il grembo culturale con estensioni definite o sbreccate che ospita la gestazione e le gesta di chi poi si fregerà di meritoria menzione e eminente risalto.

I figli di un’epoca, aggrappati al suo seno, prosperoso o inopico che sia, suggono con avidità il latte che la detta madre riserva loro, e con vanagloria menano vanto, alitando quel latte alle nari dei passanti, semmai avessero sbiadito, nel cambio di dentature, l’odore e la rimembranza di quel biancore giunonico.

Ogni epoca, in quanto madre, come madre alacre e indefessa, sempre vigila e si premura che i figli siano ligi all’educazione sbucciata dal suo magistero, e non esita ad esso riferendosi, a discriminare le anime brave dalle anime prave, nonché a proclamare a voce stentorea il più pedissequo fra i lattanti, colui che nonostante la ontogenesi esistenziale non cessa di emanare quel delizioso profumo di latte.

Lui – dice inorgoglita – lui sì che puzza ancora di latte. Lui è il pinnacolo più elevato della mia cattedrale, e voi tutti scalciate in alto le vostre tachicardie affinché impazzino per svettare questa soglia, e con ritmo sempre più celere ne rimedino un asintoto adeguato”.

E noi, che pur figli lo siamo, ma ripudiati nella cripta di tale cattedrale, che randagi mendichiamo ai lati della cucciolanza più gretta, le crediamo. E partendo da questo amore uterino, da questa catena ombelicale, che assumiamo come inoppugnabile tanto quanto appunto lo è l’amore di una madre nei rispetti del figlio, vogliamo abbracciare nel nostro angolo visivo un sinottico ragguaglio fra due differenti volti, due declinazioni amorose che hanno culminato l’ appagamento delle madri nella più paradigmatica fisionomia dei figli.

Ebbene si parta con questa gratuita disamina, che ha sorteggiato nei piatti della nostra bilancia analitica due madri, pronte a scatenare sulla sudata sabbia dell’arena i campioni più emblematici sgrembati dalle loro cosce. Si traduca da un lato la madre fiorita in bellezza nel I secolo a.c., ante portam Urbis che forse possiamo, senza tema di offendere la signora, chiamarla Crisi Republicana, in quanto la Roma di Lucrezia, Lucrezio e Publicola vacillava sotto la spinta di spregiudicati potentati, tutti intenti a monopolizzare la scena abusando dei conflitti intestini. Nel suo capo scrisse gli anni di Mario e soprattutto Silla, gli anni della dilacerante guerra sociale, delle rivolte schiavili, di Crasso e il magno Pompeo, che sfilarono al passo con Cicerone, Clodio, e Catilina, e sullo scemare consegnò all’augusteo Princeps le chiavi delle epoche successive; ma essa riconosce, sull’onda lunga delle sue catechesi e nella turbe di uomini che si arruffavano per meglio interpretarla, il mito che in assoluto riempì di gratificanti stille gli occhi della madre: Caio Giulio Cesare.

Dall’altro lato si porti la madre che ad oggi sovrintende il nostro operato e dirige le nostre emozioni più recondite: la nostra bella madre, i cui tratti non necessitano di elucidazioni, giacché se è vero che il cuore di un figlio lo saggia la madre, anche vero che questo, come segno minimo di corrispondenza, dovrebbe almeno riconoscerne il volto.

 Dunque non ragioniamo di loro ( i tratti), quanto piuttosto seguitiamo a fronteggiare la non facile sfida di un’elezione rappresentativa, che possa al meglio essere accostato per grado di emblematicità al campione addotto dall’altro competitore. Chi mai potrà piccarsi di essere il diletto della nostra novella madre? Il lettore? Lo scrivente? O forse Trump, o Xi ji Pin, o George Weah? Qualche potente gerarca di stato? Noi qui crediamo che essi non siano abbastanza, nonostante a volte lo siano tanto; non sono abbastanza archetipici in quanto gli arches odierni non vi riconoscono sufficienti credenziali. Bastevole non è più il concetto oppositivo di optimates e populares, dove la partita si giocava al rialzo facendo leva su un dato o un altro aspetto della sociologia. Oggi la partita si gioca al ribasso attratti dalla forza di gravità del suolo ed esaltati dalla quantità di fango che è possibile ostentare a riprova della propria miserabilità. Convertita in una formula di lusinga acrobatica: Optimus popularis. Ci tocca accordarci con quello scialbo prosatore di Celine, il quale in quella sua opera meglio raffazzonata ( Il viaggio e quell’etc stridente) evidenzia come l’uomo per vanagloria potrebbe pregiarsi anche della propria stupidità. E allora, lettori cari, chi è l’optimus popularis che incarna i valori della nostra epoca? Ma è ovvio che non può essere che lui:

…LUI…

…IL LUI OPTIMUS MAXIMUS…

il cugino più piccolo del mio amico Simplicio.

Se qualcuno cova il ribollio del dissenso sotto la sua livida cotenna, può sempre gettargli un guanto di sfida e dinanzi una giuria di esperti blasonati, tentare di strappargli il primato.

Procediamo senza ulteriori fronzoli a questo tanto sospirato raffronto, e il prolisso Plutarco ci perdonerà se gli rubiamo la sua creatura nominale, e verghiamo questa nostra sintetica “Bioi paralleloi” totalmente rivisitata in chiave moderna. Si proceda al duro raffronto ripercorrendo le tappe salienti delle rispettive biografie, che daranno i colori alla nostra ardua ritrattistica:

1) Caio Giulio Cesare: Nasce nel 100 a.c. da Caio Giulio Cesare e da Aurelia, rispettivamente rampolli della nobile stirpe della Gens Iulia, che vantava nelle vene la presenza di globuli rossi troiani, e della famiglia Aurelia-Cotta, anch’essa depositaria di proclara dignità. Era inoltre, attraverso la zia Giulia, imparentato al grande Mario, capo della fazione popolare.

1) Il cugino più piccolo del mio amico Simplicio: Il cugino di Simplicio, nasce a ridosso del terzo millennio dalla zia di Simplicio, e dunque dallo Zio. Inoltre è imparentato attraverso la zia, per l’appunto con Simplicio, espressione diligente della fazione popolare, il che è tutto dire.

2) Caio Giulio Cesare: Fin da giovinetto, per via della sua irrequietezza, nonché della parentela con il temibile Mario a cui si aggiungeva un convolo a nozze con la figlia di Cinna, raccoglie i sospetti del partito degli ottimati e Silla, nelle cruente epurazioni ascrive anche il suo nome. Verrà poi risparmiato grazie alle intermediazioni di amici comuni, che persuaderanno Silla a desistere dai suoi intenti. Si narra che egli, piegandosi con riluttanza alle implorazioni, avrebbe esclamato: “Guardatevi da quel giovinetto, in lui convivono molti Mario”.

2) Il cugino più piccolo del mio amico Simplicio: Fin da giovinetto mostra anch’esso una certa irrequietezza, che viene sedata dai genitori attraverso l’anestetico più potente mai congegnato: il videogioco. Ciò attira i sospetti di alcuni psicologi che allarmati dalla sua concupiscenza ludopatica furono tentati a denunciare il caso ai servizi sociali. Solo grazie all’intermediazione dello zio, il padre di Simplicio, desistettero dall’intento. Si racconta che il più coriaceo di essi avrebbe esclamato: “Guardatelo però quel giovinetto, in lui convivono molti super Mario”.

3) Caio Giulio Cesare: Archiviata la sua spada di Damocle, il giovane aitante partì come volontario per le provincie d’Asia distinguendosi presto agli occhi del pretore Minucio Termo, che lo promosse come ufficiale nel suo stato maggiore. Brillò anche per doti diplomatiche quando fu mandato dal suo superiore ad assillare l’amico Nicomede VI, assiso sul trono della cliente Bitinia. Qui Cesare vinse la recalcitranza del Re, si mal vociferava assecondando a vario titolo le sue diete sessuali di estrazione onnivora.

3) Il cugino più piccolo del mio amico Simplicio: E niente. Continuò a giocare a Super Mario, ma in quanto ormai maturo e di complessione robusta gli fu consigliato di alternarlo a qualche videogioco bellico, in supplenza alla leva militare. Qui si distinse per meriti e riuscì anche lui a scoprire la sua sessualità facendo incetta di endorfine ogni qual volta il troppo gioco lo fiaccava, non disdegnando il ricorso alla pratica di Onan.

4) Caio Giulio Cesare: Alla morte di Sylla, pose fine al suo marziale peregrinare e si risolse in patria. Nell’Urbe si lanciò nell’arte forense, e quando perorò l’accusa nei confronti del sillano Dolabella, nonostante l’egregia padronanza delle arringhe, il suo conato si sversò in un esito inconseguente, e per sfuggire a prevedibili rappresaglie, decise di palestrare il proprio spirito retorico svernando nella Grecia insulare, dove i figli della lupa solevano fare vela per ripescare quell’erudizione di cui avrebbero dato saggio una volta tornati a Roma. A ridosso delle coste ioniche, fu però sequestrato da una masnada di pirati, i quali lo rilasciarono solo dietro lauto compenso e dopo aver tollerato i sortilegi e le minacce di morte che quest’ultimo si lasciò cadere a tergo mentre scioglieva le proprie catene. Giulio Cesare, di temperamento pertinace, ma anche in alto grado uomo di parola, consumò il suo vindice piano rabberciando una modesta flotta, con la quale veleggiando fra i debiti costretto a contrarre per attuare la sua vendetta, riuscì a snidare i suoi carcerieri dal loro covo e lasciargli prima dell’ora fatale giusto il tempo di prendere contezza quanto egli, fosse davvero uomo di parola.

4) Il cugino più piccolo del mio amico Simplicio: Compiuto il suo diciottesimo genetliaco, si risolse ad astenersi per un periodo dal debosciare la sua esistenza scialba sul rutilante ludoschermo. Al che con un drappello di amici decise di intraprendere un viaggio d’istruzione fuori dai suoi confini nazionali. La meta fin da subito fu fonte di divisione, e lui, deciso a bacare tale pomo della discordia ricorrendo al tarlo della sua arte persuasiva, si lanciò eroicamente in una orazione viscerale dove lucidava le esotiche meraviglie custodite nella Spagna insulare, giù nella Ibiza Ulteriore. La sua lingua sciolse la briglia ad un galoppo che pareva inarrestabile, e che macinava argomenti combustionando l’ardore e il fermento delle sue convinzioni.           Infatti poi andarono in Grecia. Qui il cugino di Simplicio poté contemplare stupefatto i sempiterni resti di una civiltà di antico retaggio, la cui grandezza sprizzava da ogni andito archeologico o monumentale. E lui sembrava di vedersi assecondare il passo lento dei peripatetici che inseguivano pazienti le teorie del maestro; sembrava di vedersi scalare il Pnice e prendere parte all’ekklesia emandando un tema proposto dalla boulé; sembrava di vedersi improvvisarsi acusmatico dinanzi alla dirompente lingua di Demostene, il quale nel delegittimare Filippo come un rocchetto gli attorceva le viscere. Infatti il cugino del nostro amico era drogato e poco dopo vomitò.

5) Caio Giulio Cesare: Nel 68 a.c. fu eletto questore ed esercitò il suo mandato sotto l’egida di Antistio Vero, nella ribelle provincia d’Iberia, anche qui spiccando per virtù amministrative, e cavalcando l’elezione come il cavallo di troia che lo condusse dritto in pancia della curia Hostilia, secondo meccanismo previsto dalle riforme sillane dell’81.

5) Il cugino più piccolo del mio amico Simplicio: In Spagna non ci andò. Andò in Grecia e basta.

6) Caio Giulio Cesare: Dopo aver ricoperto e sfruttato fino al midollo per rigonfiare il suo prestigio altre magistrature minori, svettò alla carica di Pontefice Massimo e bruciò le tappe del suo corsus honorum, mentre consolidava la sua figura di guida e capo fazione dello schieramento dei populares. Contestualmente a tale periodo fu, nonostante le sospettose teorie adulterine sulla moglie Pompeia, l’accostamento all’esponente dei populares Clodio, che di quelle trame adulterine fu indicato protagonista. Accese altre rivalità e fu ago di orditi che gli valsero anche l’accusa di collusione con le ambizioni di Catilina, che si declinarono, come è notorio, nella pronta previdenza di Cicerone. Cesare riusci a destreggiarsi anche grazie al caldeggio di amici fidati, quali Lucio Cornelio Balbo, imbrancato fra i suoi partigiani dai tempi della Spagna.

6) Il cugino più piccolo del mio amico Simplicio: Da ottimo popolare, il cugino di Simplicio si ammanica spesso in teorie del complotto adducendo le più… diciamo acrobatiche tesi su come il mondo parvente sia solo la chioma fulgida di un sottobosco prospero di intrighi, che solo lui ha il privilegio di decifrare in quanto membro di una setta esoterica che di pari all’alchimista custodisce il mistero della propria arte. La setta si nasconde su facebook, in un gruppo pubblico. Non penso Cicerone riuscirebbe a lumeggiarne le trame questa volta. Inoltre anche lui conosce qualcuno che conosceva un certo Balbo, e forse conosce anche Balbo; ma questo visse in epoche più prossime e si dubita sia parente con Lucio Cornelio. È fervido assertore di tesi su tale amico, un certo Mussolini Benito, che a volte demonizza perché autore del genocidio ebreo, a volte esalta perché glorioso conquistatore ed uomo inappuntabile. Giacché egli non fu né l’uno né l’altro, si desume che il cugino di Simplicio parli a schemi preparati e non attraverso consulto libresco, e dunque si estrapola come corollario almeno il sospetto che non conosca nemmeno Mussolini, figuriamoci se conosca Balbo.

7) Caio Giulio Cesare: Nel mentre agguantava anche la carica di propretore in Spagna, sognava l’incarico consolare e quella gloria militare che sola gli avrebbe accordato il prestigio necessario per accostarsi con equipollenza agli altri dignitari che all’epoca dominavano il foro. Ed egli a questi dignitari cominciò ad accostarsi. Suggellò un accordo con Crasso e Pompeo che si tradusse in una regia politica tutta appannaggio dei tre viri. Cesare dopo un momento di tenzoni retoriche e strategie occulte riuscì a farsi assegnare le Gallie Cisalpina e Narbonese, e l’Illirico. Fu l’inizio di un’ascesa militare che per ovvie ragioni, non possiamo doviziare. I più curiosi si sfogliassero il De Bello Gallico. Con la morte di Crasso in Partia e la dirompente campagna cesariana Roma si spinge sull’orlo della guerra civile, strappando il suo tessuto sociale fra i sostenitori di Pompeo e quelli di Cesare. Quest’ultimo, ripiegato con l’esercito a Ravenna, prese stanza e pianificò il da farsi. Fallito ogni tentativo di mediazione diplomatica, Cesare partì scortato dalla XIII legione alla volta di Ariminium, e ramingo per boschi si narra riuscì a ragguagliare la strada grazie alle indicazioni di un pastore. Giunto alla meta, fra la notte dell’11 e la mattina del 12 gennaio del 49, riarso da un flautista che prese a suonare d’improvviso la carica, varcò vibrante il fiume Rubicone in armi, costituendo per la giurisprudenza romana un reato inespiabile. Ormai si era varcato il punto di non ritorno; ormai si era tracciato l’anno zero; ormai il dado era gettato. E fu così che Cesare cambiò i destini della civiltà romana, al grido inesorabile di Alea iacta est.

7) Il cugino più piccolo del mio amico Simplicio: Anche lui si organizza con gli amici per le sue fatidiche trasferte; con la sola variante che il grido alea iacta est è supplito con alea..le alé alé, e di Galli conosce solo quelli che acquista confezionati al supermercato.

Ora caro lettore, pensiamo che la partita possa dirsi chiusa in quanto anche fin troppo è durato tale struggimento. Possiamo, penso senza tema di smentita, tuttavia dichiarare l’esito epilogato in un bel “pareggio di bilancia”, giacché ciascuno dei concorrenti, a modo suo, ha interpretato la sua epoca tracciando il non plus ultra dello spirito del tempo. E a chi pensa che tale parallelo sia tacciabile di dissimetria o si presti al gioco di un commediografo amatoriale si guardi bene le spalle. Non ha, molto probabilmente, ancora rimirato il rossore crepuscolare; non ha, sicuramente accarezzato l’illuminazione che lascia in eredità alla notte: essa si esprime negli asterismi e ci informa a voce stentorea come in un epoca dove la mediocrità regna, il mediocre è l’erede al trono.

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