Pascoli e D’Annunzio a confronto

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Gabriele D’Annunzio e Giovanni Pascoli sono le due più rilevanti personalità del Decadentismo italiano. Entrambi furono affetti dai grandi cambiamenti sociali che condussero le nazioni allo scontro nel 1914. La reazione a tali cambiamenti ebbe effetti diversi sui due letterati. Pascoli subì implicitamente il cambiamento tramite la tragica morte del padre (avvenuta in circostanze non chiare, ma probabilmente l’attentato fu frutto di una sorta di competitività, legata a motivi economici, tipica della nuova società moderna). Le gravi carenze burocratiche non restituirono mai al giovane Pascoli la verità sul caso, tanto che egli perse la fiducia non solo nella società intesa come istituzione, ma anche nella società intesa come umanità. Vennero a crearsi, nella mente di Pascoli, tutti i presupposti per una crisi interiore che sfociò in età matura nell’adesione all’ideologia anarco-socialista di Andrea Costa. Ma, finito sotto processo e successivamente assolto nel 1879, i suoi ideali non coincidevano più con la nuova ideologia marxista dei socialisti che venerava la lotta di classe e la vittoria del proletariato sul capitale. Dunque la sua indole agitata trovò nuova speranza in un progetto più grande, un progetto di fratellanza umanitaria, ispirato alla non-violenza tolstoiana, la quale avrebbe potuto unire tutti gli uomini nella lotta al male che imperversava nel mondo (ivi risiede il pessimismo pascoliano). Così nacque il mito del nido, un rifugio inviolabile e sacro, in cui egli avrebbe ricostruito ciò che restava della sua famiglia, e una reazione al fallimento della scienza di poter svelare il mistero del mondo, donando le chiavi di questo all’uomo. In questo luogo primitivo ed edenico, lontano dal mondo frantumato dalla competizione, gli uomini avrebbero potuto trovare soddisfazione nelle piccole cose quotidiane, simboli di una dimensione al di là della realtà, una dimensione simile ad un sogno, tramite il fanciullino che risiede nel profondo di ogni uomo, emblema di un ritrovato approccio ingenuo della vita.

D’Annunzio reagì ai cambiamenti in maniera disomogenea. Dapprima si diede al culto della bellezza, al mito dell’esteta, da cui nacque una personalità che non avversò il suo distacco dalla società, anzi lo accentuò sostituendo alle leggi morali le leggi del bello. L’esteta ripudiava la classe borghese e i suoi valori che infangavano la bellezza che per tradizione l’Italia conservava dai tempi dell’impero romano. Ma resosi conto che la scelta di una vita dispendiosa comportava necessariamente un rapporto con la massa e le sue leggi economiche, scorse in se stesso una personalità debole che diede vita alla figura dell’inetto a vivere, un uomo che non vive, ma si osserva vivere. Una luce fu intravista nella filosofia nietzschiana, una luce che generò una nuova figura che avrebbe cancellato (solo momentaneamente) le paure e le angosce del poeta, la figura del superuomo. Dunque egli si eresse come un monumento dinanzi la massa che fin’ora aveva ripudiato, ponendosi come un condottiero non solo tramite i discorsi, ma soprattutto tramite i fatti (beffa di Buccari, volo su Vienna) in virtù dei quali, un’altra personalità forte come Mussolini riuscì a captare in lui non solo i germogli di un grande condottiero, ma soprattutto il profilo di un acerrimo rivale, tanto che, agendo in maniera preventiva, riuscì a contenere la sua scalata al successo e alla fama.

Tanto Pascoli quanto D’Annunzio, dunque, si presentarono come dei vati, rivolgendosi allo stesso pubblico, ma in maniera differente, cercando di smuovere le coscienze degli uomini al raggiungimento di uno scopo, prescindendo dal ruolo attivo o passivo. Va inoltre riconosciuto loro anche un’importante merito circa il messaggio patriottico trasmesso. D’Annunzio con le sue azioni, Pascoli con i suoi discorsi (si rammenti La Grande Proletaria si è mossa), ricordarono agli italiani l’importanza di cadere in piedi o in estremo, di avere sempre la forza di rialzarsi in nome della dignità che fregia l’animo di ciascuno, e si consacra alla cura del proprio paese e della propria famiglia.

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