L’eterna questione meridionale, che continua a far discutere ancora oggi con molti con vuoti e molti silenzi: tra i briganti c’erano sì, dei delinquenti comuni che hanno commesso dei crimini feroci, ma la stragrande maggioranza erano contadini e figli di contadini che chiedevano un po’ di terra da coltivare ed un pò di libertà, aldilà di quello che scrissero gli scrittori “salariati” – cosi li ha definiti Gramsci – , i quali hanno sempre cercato d’infamare il Brigantaggio.
Comunque i briganti sono stati sconfitti e molti sono stati uccisi, imprigionati, i lavori forzati…dunque il sogno di una rivoluzione dei contadini è sfumato, svanito… con l’unità d’Italia.
Resta la possibilità di diventare migrante, partire per le Americhe con i bastimenti, da dove nessuno riusciva a realizzare il sogno di ritornare. Chi ci riuscì, ebbe a dire: “Merica bedda cu ti vò lassari, 24 anni… 400 lire!”
L’America dunque non era la terra promessa, ma una terra maledetta, che ha cancellato la storia di generazioni intere.
Ricordate Sacco e Vanzetti?
Tanti e tanti come loro hanno fatto… “a’vanz’i cazzetti”.
Schiavitù , condanne, soprusi! Venivano persino condannati per eresia… per aver messo ad essiccare dei peperoncini appesi ad una croce di legno: questo era l’America!
E allora progrediamo con un salto di circa un secolo: 1961.
Un’altra ondata di emigrazione ha decimato San Lorenzo e tutto il Sud. Questa volta verso il nord: Torino, Milano, Germania, Belgio.
Quanti morti nelle miniere del Belgio? Ma ora non parliamo di morti…Vorrei raccontare brevemente la storia di uno di questi emigranti: Zio Frisco Antonio… un nome simbolo…
Zio F.A era “n’umminonu”,forte come una quercia.
Un uomo buono, onesto, di buon senso ma più per natura che per educazione.
La gente si rivolgeva a lui per risolvere le controversie in merito a divisioni o assegnazioni di quote ereditarie, cioè quando era necessario…“jettà i buscili”… Lui sì ch’ era maestro in questo…Una sorta di giudice diciamo, capace di essere imparziale, che fungeva da paciere. Un’autorità che gli veniva riconosciuta essendo considerato da tutti uomo assennato e di giudizio.
Ma la povertà mordeva tutti, compresa la sua famiglia…
E dunque, pensò di partire anche lui… per Milano.
Non aveva nemmeno i soldi per fare il biglietto, e con la morte nel cuore, prese la decisione di vendere l’asino.
La moglie pianse, pianse a lungo la sua partenza e la perdita dell’unico bene che avevano…
Arrivato a Milano ebbe la fortuna di trovare subito lavoro in un cantiere edile come manovale-cariolante, dove si stavano costruendo palazzoni altissimi.. brutti come il debito… luoghi senz’anima, non adatti per viverci secondo il suo modo di vedere la vita.
Nella sua semplicità concepiva un edificio secondo quei principi di bio-edilizia diremmo oggi , e all’epoca era solo fare armonia con la natura….
Fu affidato ad una squadra di carpentieri bergamaschi.
E come tutti, dovette superare un periodo di prova, cercando di dare il meglio di sé per mantenere l’occupazione trovata.
Fra tutte le difficoltà, c’era anche lo scoglio della lingua.
Siamo tutti Italiani sì , ma nessuno parlava l’Italiano. Loro parlavano il dialetto Bergamasco e lui il Sanlorenzano…
“Non è mai troppo tardi”… del Maestro Manzi.. arrivò dopo!
A S.Lorenzo non c’era ancora la tv.
Un giorno il suo caposquadra gli dice….”Ehi..terùn…vèi chi… vammi a trovar un pezso de fodera da circa 2 metri!”.
Nel gergo edile bergamasco le fodere sono quelle tavole di legno che si usano per foderare, rivestire, creare le casse-forme dei pilastri che vengono poi riempiti di cemento.
Il povero zio F.A. non poteva immaginare che questo termine potesse essere
riferito a qualche cosa di diverso da ciò che lui conosceva come fodera.
Non capì bene cosa cercare ma pensò dovesse far vedere di essere in gamba, scattante, e partì alla ricerca.
Senza sapere dove cercare un pezzo di fodera e ancor meno dove trovarlo, iniziò a scendere per le scale a due gradini per volta, di piano in piano guardandosi intorno velocemente; si ritrovò nel seminterrato dove c’era una sorta di spogliatoio…
Appesa ad un chiodo la sua unica giacca di velluto, cucita dal mastro cucitore del paese.
Senza pensarci due volte con gesto deciso strappò la fodera dalla giacca…..
Per un attimo gli venne in mente Caterinella, la sua donna, e gli parve di sentire la sua voce quando gli diceva: “Ohi F.A come stà beddra sa giacchetta nguddra-a tia..!!”. Ma arrotolò la fodera tra le mani e corse su per le scale fino all’ottavo piano…
Il caposquadra lo stava aspettando, doveva fare presto, non poteva perdere tempo. E quando senza respiro per la corsa arrivò davanti a lui, gli porse la stoffa dicendo: “unn’è proprio 2 metri..ma quis agghiu truvato”.
Il suo capo lo guardò sbalordito per qualche attimo, poi iniziò a dirgliene di tutti i colori: “va da via al chiul…terùn del’osc-tia… ti te capis na gota…bestia d’un terùn… torna a to pais a guardar le pecore…”
Zio F.A. resosi conto di aver sbagliato, ancora senza fiato e stravolto gli venne da dire: ”fai pi-ti fa a crucia e ti cechis l’ucchiu!”
Ma lo sconforto era tale che non reagì ma, con la fodera tra le mani, ridiscese le scale mentre la rabbia gli mordeva lo stomaco…
Allora, iniziò ad imprecare ad alta voce, contro chi secondo lui era responsabile della sua situazione, contro chi l’aveva costretto a lasciare in qualche modo, il suo paese e la sua donna…
Nonostante lui fosse “n’umminonu”, dovette sfogare la sua rabbia… e lo fece, alla Sanlorenzano: “E ki vone fa a pik a pik come a carna du purch a quid che ci curpin.. e ki von mint ventr’a pitt e chi’ i mane supra a trip, a tutti quid ki cummannan. Nun putijni fa nu misu appidunu ndà forestal, o ndà briglia da cassa du minzijurne… Noo… an-na fa mangià suli i parint ed amici. E ki’ i putiss pigghià u’nzurt, c’è cu- addà mangià a dui vuccuni e cu-a nente..
Ci i’vò ruman- in- curp, madonna mia i puddin!”.
Non si dava pace… lasciare la famiglia… gli affetti… il luogo dov’era nato… il suo mondo… dove sono le sue radici… dove si è formata la sua identità…
La sofferenza dell’emigrante è grande e profonda.
A Milano gli manca tutto: gli manca lo splendore del sole… quando si sveglia e non vede la Timpa, che piano piano si illumina, quando la luce del sole arriva sul picco dell’aquila… l’orologio segna le cinque e mezzo… del mattino,
Gli manca il profumo delle ginestre… il volo du “frica-vintu”… il cambio delle stagioni, le nuvole che giocano nelle gole del Raganello… le risate… si… le
risate di Marsilia che ammalia gli uomini e si prende gioco di loro.
Gli manca tutta la scena vissuta in quella vallata, bella ed incontaminata… incorniciata dalle Timpe.
Quello che sente dentro è solitudine, rabbia, pensieri e dolori che non sono diversi da quelli dei briganti…
Scaricata la rabbia, il pensiero andò là dove aveva lasciato il cuore, alla sua donna: Catarinella. E allora prende a prestito i versi di un poeta, Domenico Cerchiara…
A puddurèdda meij
A puddurèdda meij
ten’d’i tutti i culur du criatu
e jèd’a cchjù bbèdd’ du munn’..
A puddurèdda meij
fa vula vula sup’a tutt’i jure
‘nsìn’a quann’ mòr’de ’u jurne ..
A puddurèdda meij
a sìre mi ven’d’a ddìce di jure
ammirizzàte nta jurnàta…
A puddurèdda meij
mi dìce k’a rosa russ’ carnosa
jèd’a cchjù bedda e mmirizzùsa…
A puddurèdda meij
mi dìce k’a rosa russ’ carnosa
jè sangh’e core ‘nnamuràta
Come sempre chi parte invidia chi rimane come stabile e felice. Chi rimane nel suo mondo, può parlare ed essere capito. Le parole, i significati, gli oggetti, sono chiari e definiti in un “quadro” che appartiene al vissuto di tutte le persone che stabilmente risiedono.
E anche i modi di vedere sono chiari e circoscritti in quella cornice che delinea il “quadro”… e quello che vi è all’interno, una volta consolidato dalle abitudini, dal vissuto, fa fatica a uscire dalla “cornice”.
Per dare l’idea della difficoltà nel comunicare, ascoltate questa storiella realmente accaduta:
Anni60… ancora c’erano le scuole di campagna e i bambini che le frequentavano, lontani da questo mondo moderno, assorbivano i comportamenti ed il linguaggio del contesto rurale..
E una di queste bambine, una mattina, per incarico dei genitori, portava per la cavezza una mucca alla masseria dei vicini …
La maestra che percorreva la stessa strada, incontrandola le chiede stupita cosa stesse facendo con quella bestia al seguito, anziché essere in classe per la lezione…
E la bambina rispose: “sto portando la mucca al toro… signora maestra!”.
E la maestra sbalordita: “ma come!!! ma tu sei una bambina, non dovresti fare certe cose! ma… non lo poteva fare tuo padre..?”.
E la bambina: ”no, no, signora maestra….ci vuole proprio il toro!!”.