Oltre venti anni fa Stephen Bertman batteva su carta, nel sul libro intitolato “Hyperculture”, l’espressione di “cultura dell’adesso” per descrivere lucidamente lo stile di vita che oggi predomina nel DNA della società occidentale. Nell’enorme complesso fatto di scelte, pensieri, comportamenti e mezzi espressivi che caratterizzano codesta società, spicca rumorosamente la nuova “concezione del tempo”, che oggigiorno non viene più vissuto in maniera ciclica o lineare, ma utilizzando una metafora di Nicole Aubert, si può intuire che il tempo viene vissuto in maniera “punteggiata”.
Nella società contemporanea infatti, il tempo risulta essere un insieme di “frazioni di tempo” caratterizzate da una rimarchevole discontinuità in cui una moltitudine di intervalli stroncano ogni collegamento tra un punto e l’altro, negando quindi al soggetto la possibilità di voltarsi indietro. Supponendo allora che la realtà cognitiva dell’uomo post-moderno getti i suoi pilastri su queste fondamenta di pensiero, potremmo in fin dei conti affermare la dissoluzione della storia e quindi della memoria. E se cosi fosse – ma effettivamente cosi sembra essere – sarebbe abbastanza infecondo cercare di riportare in vita il profondo significato della pur diffusa locuzione latina “Historia magistra vitae est” tratta da una frase più ampia nell’opera De Oratore di Marco Tullio Cicerone. Nella frase completa infatti, “La storia” è considerata da Cicerone “testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita e messaggera dell’antichità”, e se tale fu considerata nel 55 a.C., con la sua dissoluzione nel pensiero di oggi, potremmo dedurre di aver dissolto con essa anche la luce che illuminava i nostri viaggi e la bussola che guidava le nostre rotte.
Quando l’uomo perde la luce della sua memoria non riesce più a comprendere l’importanza della sua bussola, ed un uomo senza bussola vive nell’ombra della perdizione in cui gli unici semi capaci di germogliare sono quelli della paura che spesso nutrono i semi dell’intolleranza che a sua volta generano quelli dell’odio e della violenza. Raggiunto questo sub-stato non ci resta che formulare un’altra locuzione complementare a quella ciceroniana in cui affermiamo che: “Homo sine memoria, cum hasta fere fera fiat”, ovvero “L’uomo senza la memoria diviene pressappoco una bestia con il bastone”.
Ma non sono le bestie che oggi vogliamo portare alla nostra attenzione, bensì gli esseri umani che hanno il coraggio di pensare, di ricordare e soprattutto di amare incondizionatamente. In particolare il nostro sguardo oggi è ben volto a un ragazzo di nome Lamin Dibba, uno dei tanti che rischiando la sua vita a bordo di un gommone fatiscente ha attraversato la rotta del Mediterraneo in cerca di una nuova luce denominata salvezza. Le persone in fuga da guerre, persecuzioni e carestie che tentano la traversata del Mediterraneo piegandosi alle milizie coinvolte nel traffico degli essere umani e spesso già provate da prolungati periodi di detenzione e torture nelle carceri libiche, sono migliaia ed altrettante sono le morti a causa dei naufragi.
[…] al 1885 risaliva il sostegno diretto dello stato a favore della marina mercantile con compensi e premi a loro favore, i quali lucravano sui viaggi degli emigrati italiani. Il fiume umano che sciamava verso regioni lontane e spesso vi destinavano i battelli peggiori cosicché la storia dell’emigrazione fu anche la storia di drammatici naufragi […]
Ottocento. Lezioni di storia contemporanea di R. Romanelli
* Si vuole ricordare che il periodo conosciuto come Grande Emigrazione, che ebbe inizio nel 1861 e terminò negli anni venti del XX secolo, fu soltanto il primo di tre periodi durante i quali l’Italia visse un cospicuo fenomeno emigratorio. Solamente tra il 1861 e il 1985 hanno lasciato il Paese in cerca di fortuna, senza farvi più ritorno, circa un terzo della popolazione odierna.
Lamin Dibba è nato il 18 febbraio 1996 in un piccolo villaggio di nome No-Kunda situato in Gambia. All’età di 14 anni, dopo la morte del padre, è costretto a lasciare la scuola per imparare un mestiere e contribuire al sostentamento familiare e cosi da un giorno all’altro si trova in una bottega di sarti a produrre vestiti.
In quattro anni di “apprendi stato” non percepisce alcun denaro e cosi all’età di 18 anni intraprende il suo viaggio verso l’Europa in cerca di una dignità e soprattutto per fuggire dalla povertà e dal regime autoritario di Yahya Jammeh. Nel 2014 sbarca a Siracusa e dopo 4 mesi viene accolto calorosamente dalla Cidis Onlus di Cassano Allo Jonio con cui inizia il suo percorso di integrazione.
Ora Lamin frequenta il 4 anno all’Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato di Castrovillari e grazie al sostegno della Cidis, in collaborazione con la Tavola Valdese, ma sopratutto grazie al suo talento, gestisce insieme a Teresa, sarta di professione, una bottega nel centro storico di Cassano. Lamin ha molti amici, rispetta e contempla le tradizioni della terra in cui ora vive, addirittura mastica il dialetto calabrese ed è totalmente integrato nella sua comunità.
Il coraggio di questo giovane ragazzo, la tenacia con cui affronta costantemente la sua quotidianità, la sua smisurata umiltà che prende forma in dolcezza, e soprattutto l’impegno e lo sforzo che coltiva nel suo tempo, sono le stesse virtù intrinseche a tutti gli animi toccati dalla storia della transumanza umana, e tali virtù meritano di essere seminate nel terreno arido che giace oggi sotto i nostri piedi.
Per questa ragione Angolo d’Incidenza, ai tempi del Coronavirus, ha deciso di intervistare Lamin Dibba e con esso diffondere un messaggio di pace e rispetto per promuovere una cultura di apertura ed accoglienza verso il prossimo. A differenza di molti, in questa delicata Pandemia, il nostro caro amico Lamin non ha osato lamentarsi perché i bar e le discoteche erano chiusi, non si è preoccupato del suo permesso di soggiorno in scadenza, non si disorientato per ogni gesto di discriminazione che ha subito e che subisce, ma ha prodotto e ancora produce volontariamente mascherine, e lo fa in silenzio per far fronte alla NOSTRA (di tutti) emergenza.
Sono numerose le mascherine finora prodotto dalle sue nobili mani e molte sono state addirittura distribuite su tutto il territorio nazionale e magari sono arrivate anche nelle case di tutti coloro che hanno perso la memoria e che mostrano segni di intolleranza nei confronti di tutti i Lamin che, per fortuna, oggi vivono nei nostri “confini”.