Il pensiero è inevitabilmente giudice ed il giudizio è una facoltà indispensabile dell’uomo, in quanto soltanto attraverso il giudizio fondato su un determinato sistema di valori, esso è sapiente nel generare principi morali, capaci di tracciare un sentiero di vita dignitosa.
Nel “Dialogo Tridimensionale” non si cerca di screditare il pensiero e la sua facoltà di giudizio e neppure si afferma l’utilità di abolire i processi giudicanti su se stessi; bensì attraverso la narrativa, si cerca di esortare quel pensiero, indebolito dalla pigrizia e contaminato dalla violenza di un denutrito andamento sociale, ad autenticarsi con l’intimità della sua persona e quindi a costruire giudizi capaci di riflettere interamente la profonda essenza del nucleo pensante. Inoltre si vuole sollecitare sia la persona che il pensiero, intese nel testo come due entità distinte e separate, ad integrarsi pienamente e lasciarsi avvolgere dal lume della consapevolezza, e del suo potenziale di contenenza.
- Un esempio per comprendere quanto detto potrebbe essere quello in cui Sorepan esce un sabato sera con gli amici per recarsi ad una festa. In piedi dinanzi al bancone, dietro alla quale a servire vi è una donna molto affascinante, i suoi amici chiedono all’unisono un doppio whisky, mentre lui si limita ad ordinare umilmente un succo di mirtillo per migliorare la sua circolazione sanguigna. Gli amici sanno bene che Sorepan è astemio e di conseguenza non esprimono nessun giudizio nei suoi confronti, la barista però, nel servire il giovane eretico, lo guarda palesemente con occhi sorpresi, fissandolo un più del dovuto. La donna, alla pari degli amici, non apre bocca, ma i suoi occhi penetrano violentemente il Pensiero di Sorepan che spinto dalla semplice occhiata entra di colpo in uno stato di ruminazione afflittiva: “sei sempre il solito guastafeste! … la barista ti guarda schifato e si fa gioco di te … non farai mai colpo su nessuno, rimarrai solo … sei l’unico astemio, un bambinone sperduto! … perché non te ne vai a messa santone? … sei deriso da tutti non è posto per te questo …”
E’ ovvio che spinto dal suo perfido pensiero giudicante, il povero Sorepan cosi debole e cosi insicuro, non finirà neanche il succo per svignarsela fugacemente, ma in realtà gli occhi sorpresi della donna non hanno espresso esplicitamente nessun giudizio negativo, eppure sono stati percepiti dalla sua mente come una minaccia. La mente di Sorepan ha costruito all’istante una infedele narrazione sprigionando al massimo la sua creatività giudicante e servendosi degli stessi strumenti appartenenti al contesto che lo ospitava. Quello sguardo avrebbe potuto prender forma in una miriade di significati, come allo stesso tempo non avrebbe potuto significare addirittura niente. Può darsi che era uno sguardo pieno di stupore e meraviglia rivolto ad un esemplare unico e distinto dalla massa omologata, e se quindi Sorepan avesse avuto il coraggio di disseppellire la verità che si nascondeva dietro a quegli occhi, se avesse avuto un approccio più lucido e consapevole col suo attimo, se non avesse dato potere al suo pensiero giudicante, allora forse avrebbe cambiato drasticamente il finale della sua serata, che potrebbe anche rappresentare quello della sua intera vita. Ma nel caso di Sorepan, il pensiero è stato troppo pigro per interrogarsi sul momento; troppo insicuro per curiosare sul fascino di quella donna; troppo superficiale per portare alla luce la profondità della sua azione; troppo inconsapevole per cercare la verità dietro all’illusione giudicante. Il pensiero di Sorepan ha preferito percepire il tutto come giudizio limitandosi cosi alla pratica dell’auto-giudizio. In altre parole, il suo pensiero è costantemente abituato a misurarsi ed interagire con l’apparenza delle cose, senza riflettere a fondo sulla loro vera essenza.
- Un altro breve e simpatico esempio è quando al nostro amico Sorepan gli accade stranamente un caso di encopresi in pubblico. Si trova in piazza ad una manifestazione in compagnia dei suoi colleghi, e forse per il troppo caldo, forse per il caos e la folla o per un attacco di ansia, non riesce a trattenere le feci superando improvvisamente il limite massimo di sopportazione. In poche parole Sorepan, un giovane trentatreenne si è fatto letteralmente la cacca addosso davanti ad un numeroso pubblico di professionisti.
Con questo esempio arriviamo direttamente a monte chiamando in gioco da subito la consapevolezza e cercando di dargli forma attraverso due manifestazioni differenti che rappresentano due possibilità di casi:
- La prima manifestazione è quella della “consapevolezza giudicante”, che più correttamente potremmo definire come “consapevolezza non equanime” oppure “consapevolezza parziale”. In questo caso Sorepan è consapevole del disdicevole accaduto, vive il disagio ma lascia ipso facto spazio al pensiero dominante che spazza immediatamente via ogni forma di consapevolezza attuando al massimo la sua potenza giudicante: “… hai trentatré anni e ti fai ancora la cacca addosso? … vergognati!! Domani sarai su tutti i social … al lavoro ti chiameranno tutti Sore-Copro oppure Copro-Pan … vattene in esilio per i prossimi mesi hai fatto una figuraccia …”
- La seconda manifestazione, invece, è quella della “consapevolezza non giudicante”, che più correttamente potremmo definire come “consapevolezza equanime” oppure “consapevolezza imparziale”. In questo caso Sorepan è cosciente dell’accaduto, lo stesso vive l’inconvenienza, ma diversamente non lascia il dominio al pensiero giudicante, ovvero non tiene conto del giudizio degli altri e di conseguenza non entra in uno stato di auto afflizione. In questo caso, sia il pensiero che l’azione sono quindi contenuti in un tutt’uno di consapevolezza; e la consapevolezza in questa sua manifestazione prendere obiettivamente atto dell’accaduto accettando compassionevolmente il disagio. Il pensiero reattivo di Sorepan è avvolto dell’equanimità, ovvero dalla imparzialità nell’assumere una posizione o nel pronunciare un giudizio, ed è focalizzato sull’essenza delle cose affinché in un secondo momento possa contribuire a migliorale . Simbolicamente la reazione sarà simile a quanto segue: “… bene mi son defecato addosso, ne prendo atto ed indago sulla causa di questo mio disagio.”
Magari nei giorni a seguire, interrogandosi concretamente sulle cause, il nostro Sorepan scoprirà di essere afflitto da una malattia gastrointestinale, o addirittura di non aver mai curato il Morbo di Hirschsprung, ma in realtà non importa il seguito di questa storiella in quanto l’intenzione è quella di focalizzarci su alcuni aspetti del suo contenuto.
E’ evidente che in questo testo come nel precedente testo narrativo intitolato “Dialogo Tridimensionale”, si dividono bizzarramente i ruoli in cui la Persona rappresenta il protagonista che è a stretto contatto con l’azione; il Pensiero prende forma come antagonista che narra falsamente la messa in atto della sua persona; e infine vi è la Coscienza Osservatrice che incarna il ruolo di aiutante del protagonista e che cerca di risolvere i “problemi” invitando i personaggi a raggiungere uno stato di integrità assoluta sotto la supervisione della sua stessa capacità vigilante. Per come si è strutturato il testo, è fin troppo chiaro che si vuole drammatizzare ed enfatizzare la malevolenza del pensiero giudicante, descritto indirettamente come un bighellone seduto sul suo trono del giudizio e pronto a puntare il dito ed a farsi gioco degli errori e delle difficoltà della sua persona. Questo dramma potrebbe essere soggetto a diverse speculazioni e potrebbe addirittura sembrare paradossale, ma in realtà la sua giustificazione si risolve semplicemente nell’intenzione di invitare il lettore a riflettere a fondo sul rapporto che vi è fra l’azione ed il pensiero, sulla relazione che vi è tra il pensiero e la propaganda e sulla distanza che vi è tra l’intera persona e il suo dono di consapevolezza.
PS:
si ringraziano alcuni lettori per aver stimolato con i loro impulsi intellettuali la stesura di questo secondo testo…
Fabio Joel Tunno