Fenomeno Hikikomori: come i valori culturali e sociali incidono sulla salute.

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Nel corso della storia, è apparso evidente come i cambiamenti che hanno investito il settore scientifico ed economico abbiano fortemente influenzato la società, la cultura e i valori che la caratterizzano. Le scoperte tecnologiche, la ricerca e l’innovazione, se da una parte hanno portato a risultati eccezionali nella vita dell’uomo, dall’altra hanno svelato un non trascurabile aspetto negativo, contribuendo alla determinazione di una vera e propria “crisi di valori”, la quale non ha tardato a diffondere tra gli individui inquietudine ed insicurezza.

Sempre più frequentemente ci si trova di fronte a circostanze che non trovano più corrispondenza nelle logiche comunicative precedenti, così come nei rapporti con gli altri e con sé stessi, e lo scenario che va delineandosi innalza sempre più ai vertici l’apparenza rispetto all’essenza e la ricchezza materiale rispetto a quella spirituale. In virtù di ciò, le forti pressioni e le aspettative sociali mirate all’autorealizzazione e al successo personale, sin dall’adolescenza premono sugli individui, alimentando forme estremizzate di solitudine, che ormai sfociano sempre più frequentemente nell’insorgenza di nuove dipendenze e problematiche relazionali che si attuano proprio attraverso nuove forme “comunicative”.

È inevitabile come un tale contesto abbia man mano richiamato a sé i mezzi maggiormente conformi ai principi che lo sovrastano attraverso l’inclusione di tutti quegli strumenti che fanno della prevedibilità, dell’omologazione e della superficialità le loro parole chiave.

Social Network, Smartphone e videogiochi si sono ormai diffusi nelle vite di ognuno di noi, tanto da arrivare a sostituire momenti importanti della nostra esistenza, nonché la stessa vita reale, mettendo in evidenza il lato oscuro del progresso tecnologico e i suoi nessi con la crisi dei valori. Non è raro che Internet sia identificato come unica via di fuga, soprattutto da coloro che non riuscendo a riconoscere la propria sfera interiore nelle aspettative comuni e nei valori predominanti, preferiscono alla vita reale quella virtuale, priva di qualsiasi tipo di contatto effettivo.

Un fenomeno che nell’ultimo decennio ha trovato ampia diffusione, soprattutto tra gli adolescenti, specchio dell’inadeguatezza che può derivare dal contesto appena descritto, è la cosiddetta “sindrome di Hikikomori”, dalle parole Hiku e Komoru, che significano rispettivamente “Tirare” e “ritirarsi”. A definirla fu negli anni 80 lo psichiatra giapponese Saito Tamaki in riferimento a coloro che si ritirano completamente dalla vita sociale, interrompendo qualsiasi relazione con l’esterno e rimanendo per almeno un periodo di sei mesi nella propria stanza; infatti, Hikikomori significa letteralmente “stare in disparte, isolarsi”. In associazione al ritiro sociale, vi è l’utilizzo di internet, videogiochi e TV che può diventare, dunque, la conseguenza e lo sfogo di ciò che si ha dentro e al contempo una difesa dal contesto in cui si vive, dal momento in cui non si è esposti completamente e non si rischia di venir meno alle aspettative sociali.

Nonostante viene prevalentemente associato al contesto giapponese, sia per la sua origine che, di conseguenza, per una maggiore attenzione riservata al fenomeno, può ormai considerarsi una manifestazione comune a tutti i paesi più sviluppati con implicazioni e matrici multifattoriali che delineano un quadro assai ampio e complesso che non può non essere affrontato analizzando la componente clinica, così come quella socio-culturale. A proposito di quest’ultima, non si può prescindere dall’evidenziare alcuni punti cardine della cultura giapponese e di quella occidentale, per la relazione che intercorre tra queste e la condizione presa in esame. Fondamentale alla comprensione del fenomeno risulta essere la struttura stessa della famiglia nipponica, la quale nel tempo ha subito notevoli mutazioni alimentati da una sempre più maggiore influenza di tipo occidentale identificata spesso nell’assenza del padre, per motivi lavorativi, e nell’iper-protezione della madre che si occupa della formazione educativa della prole instaurando spesso un legame fortemente empatico (identificato con il termine giapponese amae). Un altro fattore di notevole importanza è relativo al sistema scolastico nipponico, sia per la sua costituzione rigida ed esigente che per la possibilità di divenire facilmente un luogo in cui si verifica il fenomeno del bullismo; in Giappone, la persecuzione e l’attuazione di pratiche moleste verso un soggetto vulnerabile, ad opera di un gruppo di studenti per mesi o anni con la complicità del silenzio da parte dei più, viene identificata con il termine ijimè. Inoltre, non trascurabili sono anche l’incertezza futura rispetto le opportunità lavorative e la disoccupazione. Diverse fonti evidenziano come quanto sopra citato sia vissuto dal soggetto come totale fallimento sociale, esito di determinanti che anziché essere partoriti dalla declinazione personale dell’individuo, sono figli di un utero che non è il proprio. Alla luce di queste correlazioni, è doveroso partire dalla radice: “Perché è visto come un fallimento sociale?”

Per quanto riguarda l’aspetto più clinico, non è ancora ben chiaro se la causa sia di origine psichiatrica o se sia la condizione stessa dell’Hikikomori a determinare l’insorgenza di disturbi di tale entità, motivo per il quale si sostiene possano essere prese in considerazione entrambe le possibilità, anche se, un approfondimento della tematica, permette di rilevare alcune divergenze con i tratti caratteristici di un determinato disturbo psichiatrico. Tuttavia, in diversi studi è stata osservata una comorbidità con schizofrenia, depressione, disturbo d’ansia sociale, disturbi della personalità, disturbo post-traumatico da stress e autismo; inoltre, è stato osservato come anche disordini fisici (patologie gastrointestinali, malattie della pelle, forte affaticamento fisico e dolore) possano spingere gli individui all’isolamento sociale estremizzato per la loro influenza sulla sfera emotiva.

Ciononostante, data l’estensione del fenomeno, le molteplici influenze e l’assenza di criteri diagnostici universalmente accettati, appare spesso difficile non fare confusione ed effettuare una diagnosi differenziale; il governo giapponese, però, ha stabilito alcuni parametri che permettono di individuare un soggetto affetto da Hikikomori:

  • ritiro completo dalla società per più di sei mesi;
  • presenza di rifiuto scolastico e/o lavorativo;
  • al momento dell’insorgenza non sono diagnosticate schizofrenia, ritardo mentale o altre patologie psichiatriche rilevanti;
  • tra i soggetti con ritiro o perdita di interesse per la scuola o il lavoro sono esclusi i soggetti che continuano a mantenere relazioni sociali.

Per quanto concerne, invece, la sintomatologia, secondo Saito sono riscontrabili:

  • ritiro sociale, fobia scolare e ritiro scolastico
  • antropofobia
  • automisofobia
  • agorafobia
  • manie di persecuzione
  • sintomi ossessivi e compulsivi
  • comportamento regressivo
  • evitamento sociale
  • apatia
  • letargia
  • umore depresso, pensieri di morte e tentato suicidio
  • inversione del ritmo circadiano di sonno veglia
  • comportamento violento contro la famiglia, in particolare verso la madre.

Attualmente, l’approccio al trattamento hikikomori comporta prevalentemente una combinazione di psicoterapia e di psicofarmacologia e, nello specifico l’uso di antidepressivi, psicoterapia sistemico-familiare, psicoterapia cognitivo- comportamentale e terapia di gruppo. Anche la pet-therapy e la terapia robotica sono stati sperimentati in questi soggetti, al fine di alleviare la solitudine e favorire un incremento dell’interazione sociale.

Un rimarchevole contributo è offerto anche dalle numerose organizzazioni no-profit e dalle strutture che si occupano di supportare e riabilitare la persona affetta da Hikikomori al reinserimento sociale e lavorativo, anche se, rispetto al contesto nipponico, il panorama italiano sembra essere un passo indietro nell’elaborazione di tali realtà. Ad esempio, in Giappone, già in una fase di supporto iniziale, per convincere l’hikikomori ad avviare un percorso riabilitativo in una comunità dedicata, è prevista la figura delle cosiddette “rental sister” (“sorelle in prestito”), ovvero volontarie che, senza nessuna particolare preparazione, si recano direttamente a casa del soggetto.

All’interno delle strutture, il ragazzo hikikomori viene seguito da personale qualificato e la sua routine scandita da numerose attività che afferiscono all’ambito ludico, formativo, creativo e sociale, allo scopo di promuovere il recupero graduale di tutte quelle competenze atrofizzatesi durante il periodo di reclusione.

Sebbene rispetto al passato siano stati accessi i riflettori su tale fenomeno, la strada sembra essere ancora lunga soprattutto per quanto riguarda l’aspetto riabilitativo. In virtù di ciò, si desume come sia necessaria non solo la presa in carico precoce di tali soggetti, ma anche come sia fondamentale l’individuazione e l’attuazione di interventi preventivi e di sensibilizzazione che pongano i giusti riflettori sul fenomeno ed elaborino adeguati quesiti utili nell’affrontarlo.

Riferimenti:
– E. Aguglia, M.S. Signorelli, C. Pollicino, E. Arcidiacono, A. Petralia. “Il fenomeno dell’hikikomori: cultural bound o quadro psicopatologico emergente?”. Giornale Italiano di Psicopatologia 2010; 16:157-164
– Takahiro A. Kato, Shigenobu Kanba, Alan R. Teo. “Hikikomori: Multidimensional understanding, assessment, and future international perspectives”. Psychiatry and Clinical Neurosciences 73:427–440, 2019
– https://www.hikikomoriitalia.it

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